Litigare ferocemente davanti a tuo figlio provoca PTSD

LO SAI CHE LITIGARE FEROCEMENTE DAVANTI AI FIGLI È CONSIDERATA VIOLENZA DOMESTICA?😭😭😭
i bambini molto piccoli possono sviluppare il PTSD 🥹 disturbo post traumatico da stress, diventare insicuri, sviluppare da grandi, relazioni tossiche.
Te la senti di continuare come stai facendo? 😱😱😱
O vuoi fare come Giovanna, Enrica, Matteo ( nomi di fantasia per rispettare la privacy) che sono usciti dal tunnel del litigio distruttivo della famiglia!
Quante famiglie vedi distruggersi così, oltre la tua?
Il motivo è semplice:
📍 Replichi un comportamento che hai subito da piccol@
📍 Non eri di pront@ al carico emotivo che i bambini piccoli comportano
📍 Nessuno ti ha insegnato a gestire i conflitti da piccol@ e ora quando si litiga, urli o ti chiudi nel mutismo, ma la frattura nel rapporto si fa sempre più ampia e dolorosa…
Non sei esaust@???
Non ti senti ANNIENTAT@???
Spezza questa catena per decidere insieme di rigenerare la vostra vita di coppia ritrovando il dialogo e preservando la felicità dei vostri figli. CONTINUA A LEGGERE

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Mara, una donna e non solo una mamma

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#dacapricco a #sorrisi al #supermercato

quante volte sei dovut@ scappare via dal supermercato per il capriccio urlante del tuo bambino?

Nel video ti do una strategia efficace per capire:

1 come funziona la mente del bambino e assecondarla

2 per smettere di vergognarti quando ti succede questa cosa e vivertela molto meglio!

https://youtu.be/JhNzaG7oeow?si=M7N2OkFA9FHJ5hWc



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La transizione

Se ci pensiamo bene nella vita attraversiamo per lo più momenti di transizione piuttosto che di cambiamento sostanziale.

Pensiamo anche solo al nostro essere biologico.

La nostra pelle cresce e le cellule morte vengono sostituite da cellule nuove, il nostro intero organismo viene continuamente rinnovato, se siamo in uno stato di salute. Gli organi filtro, come reni e fegato, lavorano continuamente per eliminare scorie. I polmoni svolgono la funzione di nutrire tutte e cellule con l’ossigeno di cui hanno bisogno. Migliaia e migliaia di operazioni vengono compiute dal nostro corpo fisico, un costante e continuo rinnovamento e purificazione dal cascame.

E a livello mentale?

Prima di addentrarci in un discorso che affronti la parte mentale vorrei invece osservare:

Il cibo ci attraversa e si trasforma, le informazioni, più o meno elaborate attraverso un sistema di filtri, deformazioni, sintesi, riduzioni, elaborazioni e traduzioni, in base ai nostri sistemi comunicativi, ci toccano, ci sfiorano o ci attraversano, lasciando dentro di noi dei segni andando, se ripetuti e reiterati –  come ad esempio la martellante informazione sui protocolli covid di questi giorni alla tv – delle vere e proprie cicatrici neuronali, andando ad incidere sui nostri comportamenti sociali, cementati da millenni di vita in comunità umane, sbriciolando questo cemento come un terremoto di magnitudo 10.

Torniamo alla transizione nell’ambito emozionale e mentale: se noi fossimo consapevoli di essere costantemente in una fase di transizione potremmo vivere questo tragico momento di isolamento sociale, di diversa occupazione o inoccupazione, con uno spirito critico che ci permetterebbe di elaborarlo con maggiore consapevolezza e minore impatto emotivo.

Cosa fare?

Innanzitutto utilizzare il tempo, se libero dal lavoro, con le cose che ci riportino al nostro assetto o a ciò che veramente desideriamo nella nostra vita, ricalibrandoci su ciò che realmente ci interessa, un po’ come quel detto  di Oscar Wilde che recita: sogna come se dovessi vivere per sempre , vivi come se dovessi morire oggi.

Usala a tuo favore, vedila come uno stimolo all’essenziale. Cosa è che veramente importante nella tua vita che non sia materiale?

Facciamo due esempi.

Esempio 1) pensiamo ad una esperienza difficile, ad esempio a stare vicino ad una persona con una malattia terminale; ciò che è difficile non è solo il momento del distacco terreno, ma tutta la fase della malattia che è appunto una fase di transizione.

Così come quando aspettiamo di fare un importantissimo colloquio di lavoro, non intendo equiparare ovviamente questo momento all’esperienza dello star vicino a chi muore, ma se presi singolarmente sono momenti, più o meno lunghi, che ci portano ad una altra fase della nostra vita.

Con ciò cosa voglio dimostrare? Che, tendenzialmente, quando ci troviamo in una fase ideale, non vorremmo cambiasse mai, eppure cambia: gli amori finiscono, le amicizie si disperdono, i lavori si perdono, cosa è che resta sempre costante?  Il fatto chee che se noi la viviamo con la curiosità anziché con la paura, un po’ come farebbe un neonato che di suo non ha mai paura di qualcosa ma si dispone all’esplorazione della realtà circostante, ecco che tutto ciò che accade intorno a noi e nella nostra vita, potrebbe essere visto per ciò che è: una esperienza in più.

Alla fine di questo articolo, Noi abbiamo un potere in più, se ne acquisiamo la consapevolezza: agire sul mondo. Ciascuno a suo modo.

Per capire meglio come, .

 

Alla prossima!

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Desiderare insieme

nella foto gioco con Ariel, il gioco è uno strumento di conoscenza questa è l’attinenza con l’immagine che ho scelto

Rifletto.

Sono vari mesi che ascolto conferenze online di Igor Sibaldi, leggo i libri che ha scritto.

Ieri ho Risentito una conferenza che avevo già visto. La prima volta l’avevo vista, la seconda  l’ho solo ascoltata, senza cioè vedere il video ma limitandomi ad un ascolto attento, senza farmi distrarre dalla sua capacità di farci ridere di cose di solito serie o tragiche, come il nostro assurdo modo di essere prigionieri di schemi e parole limitate.

La conferenza era proprio su “Prigioni – le Pene collettive”. La prima volta non avevo fatto caso a questa cosa, non avendo le parole giuste per definire una questione –  e più che giuste io oserei dire esatte –  ci limitiamo a prendere delle parole di uso comune, pensando di capirci meglio. Come se – e questo è il suo paragone – non avendo le tenaglie per togliere un chiodo, usassimo un cacciavite. Negli attrezzi la differenza ci appare evidente che ciò che fai con una tenaglia non puoi farlo con un cacciavite, nelle parole questo non ci salta agli occhi.

Quando studiavo PNL sapevo benissimo che una parola come “amicizia” assumeva per ciascuno, una configurazione diversa, perchè ciascuno vive l’amicizia e la costruisce insieme ai suoi amici, nel modo che più gli aggrada o, quanto meno, ci prova. La PNL evidenzia che il messaggio che io voglio far arrivare al mio interlocutore per arrivare nella sua totalità di significati presuppone varie cose: mappe del mondo simili, vissuti simili ed un significato di ciascuna parola che abbia una “traduzione interiorizzata” comune. Oppure un linguaggio sapientemente vago in cui, l’interlocutore proietti ciò che vuole intendere nelle vaghe parole dell’altro. Ma ora questo modo di comunicare non mi basta più.

Sibaldi rispetto alla PNL fa un salto indietro che però ci porta anni luce più avanti. Saltando a piè pari la PNL, che a questo punto non rinnego ma vedo un po’ come una parte del tutto che riguarda la comunicazione,  Sibaldi afferma implicitamente che per entrare nei molteplici significati di una parola è cosa buona indagarne la radice filologica, culturale, la sua nascita, l’uso che se ne faceva, perché, nella maggior parte dei casi scopriremo che, quella parola di cui viene fatto un uso che è un abuso, in realtà non somiglia per niente al senso che pensiamo di darle e, anzi, più crediamo che una parola sia una sommatoria di tante parole, più non vuol dire più nulla.

Nella conferenza prende ad esempio la parola SESSO e ci fa ragionare sul fatto che è una parola che non significa nulla. Perchè? Perchè  prima del suo abuso sostitutivo di molteplici significati, veniva utilizzato un vocabolario molto più ricco: sentimento, affetto, desiderio, piacere, AMORE. E sul piacere si sofferma ragionando su ciò che fa un albero.

Anche nell’uomo il piacere deriva dalla ricerca.

E’ da ieri che ci ragiono. Non solo sul fatto che l’italiano si sta impoverendo di quella ricchezza lessicale che porta ad un abbrutimento culturale, ma anche ciò che le parole servono a descrivere, scompare con esse, rendendo il nostro mondo, ovvero la capacità di descrivere ciò che abbiamo intorno, sempre più povero di immagini ed emozioni e sempre più piccolo e claustrofobico. Al contrario, più il nostro mondo si espanderà, più avremo parole per descriverlo.

Quel che accade nella vita quotidiana è che, meno parole abbiamo per interloquire con l’altro, meno abbiamo da dirci, meno comunichiamo, più siamo isolati.

E’ ciò che accade anche nelle coppie, quando la comunicazione diventa strettamente funzionale alle necessità quotidiane e si smette di desiderare insieme. A mio avviso questo è il segnale che bisogna, Desiderare insieme.

questo il link alla conferenza di Igor Sibaldi buon ascolto e visione.

a volte capire è riscoprire

La bellezza della diversità

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PNL e GRATITUDINE

Posso dire aldilà di ogni possibile dubbio, di aver intrapreso gli studi e l’applicazione della PNL per uso personale. Come i terapeuti ben sanno, chi imbocca la via degli studi psicologici o comportamentali lo fa principalmente per risolvere i propri conflitti, paure, insicurezze.

Più volte mi sono interrogata in questi ultimi anni che senso abbia definirmi un coach mentre svolgo altre attività, scoprendo ogni volta che , da quando facevo da cuscinetto ai conflitti familiari, a quando, qualsiasi attività svolga, noti qualche modo in più di essere utile alle persone che incontro.

Anni fa lo facevo per bisogno personale, per alimentare il mio ego che era l’altra faccia dell’insicurezza: aiuto qualcuno, quindi vuol dire che sono importante, ovvero risolta, arrivata  e stupidate di questo genere.

Adesso sono giunta ad un punto in cui

Mi rendo conto che ho fatto un salto notevole, sia per me, sia per voi che leggete. Non so se vi ho persi a “il tutto” o a “l’interiore divino”. Il fatto è che ho molto tempo per leggere, ascoltare e vedere video in rete e noto come sia i miei “vecchi maestri” sia le mie nuove aree di interesse, confluiscano attraverso il mio filtro in una unica direzione.

In termini pratici ricordo una frase con cui si concludevano alcune pratiche di visualizzazioni con Andrea Favaretto che è:”Con grazia facilità e gioia” e noto l’attitudine sempre più frequente di vari formatori di fare riferimento a due aree che ritengo di fondamentale importanza: gratitudine/smettere di lamentarsi e  assenza di giudizio.

L’esercizio della gratitudine, ad esempio non metter giù un piede dal letto la mattina senza aver prima provato un profondo senso di gratitudine, mi ha portato a ricercare in rete alcuni siti che danno suggerimenti pratici , questo uno dei link utili

http://psichedintorni.it/mindfulness/

L’esercizio del non giudizio, ovvero eliminare il giudizio dai nostri pensieri e dalle nostre frasi credo sia più complesso del primo sulla gratitudine, ma, a ben osservare, sono strettamente correlati.

Pensiamo al nostro partner, al nostro lavoro. Quante volte esprimiamo giudizi trancianti in questo ambito? Quante volte ci lamentiamo di qualcosa che qualcuno ha fatto o non ha fatto?

Salvatore Brizzi, autore di molti libri, conferenziere e formatore, sostiene che basterebbe smettere di lamentarsi, essere grati e non giudicare per accedere alla via dell’illuminazione.

La via dell’illuminazione? E che attinenza ha con l’essere coach?

Pensiamoci bene.

Nel mio caso, non so per voi, è : avere dei problemi; che siano di carattere affettivo, relazionale, lavorativo o finanziario, tutti vorremmo non avere problemi. Alzarci la mattina e non avere il minimo affanno per qualcosa, non avere più preoccupazioni.

Eppure i problemi ci sono sempre. Quante volte ci capita di pensare o di dire:”Sarebbe stata tanto una bella giornata se non fosse che:” Il capo mi ha detto/ mia moglie mi ha fatto/ mio padre mi ha detto…” . Credo che questa cosa si possa estendere a tutti, tranne gli illuminati, i cosiddetti “Buddha”, tutti abbiamo dei problemi da risolvere; a volte semplici, a volte impossibili, ma nessuno ne è esente.

A cosa ci servono dunque: gratitudine/non lamentarci e assenza di giudizio? A consapevolizzare che la nostra mente concepisce il mondo come lo vediamo e ad assumerci responsabilità per la qualità di vita che conduciamo.

Tutto ciò che abbiamo nella nostra vita, lo abbiamo costruito noi, con i nostri pensieri, con le emozioni che proviamo più frequentemente, con l’utilizzo delle nostre energie, mentali e fisiche, determiniamo il mondo in cui viviamo.

Già sento le rotelline della vostra mente girare vorticosamente e parole di incredulità, perplessità o addirittura rabbia affiorarvi alla bocca. “Ma stai scherzando? Ho avvelenato io i fiumi? Ho inquinato io gli oceani?Ho creato io l’effetto serra?”

Non tu. Tutti noi, tutti i giorni.

Come in “Matrix” un film che se non avete visto è il caso vediate, la realtà è ciò che il nostro cervello elabora e sintetizza. Se è vero tutto quello che hai domandato 2 righe più su, è anche vero che il mondo è stracolmo di persone buone, ambientalisti che lottano per ripulire mari e terre e aria e fiumi. Il mondo è TUTTO e il contrario di TUTTO. E’ tutto ciò che tu sei in grado di accettare, giudicare, IMMAGINARE.

Ecco quindi che PNL di terza generazione ed esercizi per praticare la gratitudine, ovvero portare il focus su ciò che mi piace di questo mondo;  quindi, anziché utilizzare le mie energie a giudicare tutto il resto,

Magari  cambiamo anche la qualità delle nostre azioni per cambiare nella pratica le cose che non ci piacciono della nostra vita; non puntando il dito sugli altri, ma andando ad eliminare dentro noi stessi quella parte di mondo che impedisce al mondo di cambiare.

In senso pratico cosa è più utile: lamentarsi della plastica nel mare oppure appoggiare il progetto EDIPO

https://www.youtube.com/watch?v=pGgBNkdXcak

condividendo all’infinito i suoi post scientifici?

È più utile lagnarsi della violenza verbale o esprimere Amore?

Avrete sentito parlare molte volte, o forse è la prima volta che ne sentite parlare, del concetto che siamo tutti UNO. E’ un concetto che comprendiamo filosoficamente, forse, ma che in termini pratici significa che, se io critico qualcuno, sto in realtà criticando me stesso, perché, appunto, noi siamo tutti uno; quindi criticando un altro io sottraggo energia utile a sostenere l’altro, che è me stesso.

Temo di avervi persi, ma non demordo. La mia paura di perdervi la accetto e la amo. Possiamo essere il motore di quel cambiamento che desideriamo, partendo dall’unica persona su cui possiamo essere veramente impattanti: noi stessi.

Ricapitolando:

siamo grati e facciamo un Beep nella nostra mente, tutte le volte che ci accorgiamo che stiamo giudicando qualcuno o qualcosa: non sappiamo nulla della sua storia di ciò che la/lo ha portato ad essere quello che è, inoltre ogni ostacolo che troviamo sulla nostra strada esiste per trasformarci in ciò che possiamo diventare attraverso quella pressione. Più portiamo il focus su ciò che vogliamo avere nella nostra vita, più elimineremo il ciarpame di pensieri inutili, devianti che ci tolgono energie.

Smettiamo di lamentarci, la fila alla posta non scompare se ci lamentiamo, il bus non transiterà prima, il lavoro non ci divertirà di più. Pensiamo invece a quanto è più utile portare il focus su ciò che amiamo, preferiamo e ci divertiamo a svolgere.

Ieri ascoltavo una intervista a Joe Vitale, da senza tetto ad agiato scrittore di libri e “motivatore”.

All’inizio del suo percorso era così povero che non sapeva proprio come essere grato. Era arrabbiato, povero e senza casa, non voleva proprio essere grato di nulla, ma il suo mentore gli chiese di scrivere di cosa fosse grato. Joe aveva una matita ed un pezzo di carta. All’inizio non sapeva cosa scrivere. Di cosa mai poteva essere grato? Poi iniziò a scrivere e capì che quella matita era magica perché gli permetteva di fare un elenco di ciò che voleva nella sua vita e anche fare un elenco di tutto ciò che voleva eliminare nella sua vita; la sua matita era magica perché sulla sommità aveva una gomma, quella gomma poteva eliminare cose. Mentre la carta gli dava la possibilità di scrivere, scrivere ed esercitare la sua gratitudine. All’inizio è stato difficile, ma la costanza, la perseveranza in questo esercizio, che pratica tutt’ora costantemente, lo hanno portato dove è ora.

Attenzione non vi sto dicendo che dovete prendere carta e matita, anche se tenere un diario della gratitudine è un bel modo di cominciare, non vi sto dicendo che dovete diventare scrittori, a meno che non sia un vostro volere. Sto dicendo che agire nel quotidiano cambia le abitudini improduttive in abitudini produttive e che il nostro cervello è un elastico che possiamo allenare. Possiamo farci stretching, possiamo direzionarlo e allargare la sua visione esattamente a 360° . è nell’assumerci la responsabilità del nostro domani sapendo che, ciò che viviamo oggi, lo abbiamo portato noi, nella nostra vita.

Quindi qui confluisce tutto ciò che ho studiato da dieci anni a questa parte e questo allenamento/ attitudine ad una forma-pensiero forma-mondo più responsabile ed elevata.

Buon lavoro alla prossima!

 

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N’ te regghe più

Per chi non se lo ricorda, il titolo di questo articolo era il ritornello/tormentone di una canzone di Rino Gaetano. Rino snocciolava un lungo elenco di cose che non sopportava più.

E questo accade anche nelle famiglie più amorevoli.

Anzi. A volte si arriva addirittura a smettere di elencare le cose che non vanno, non perchè improvvisamente siano migliorate ma, al contrario, il partner, non ascolta. E non c’è peggior sordo…

Di recente ho visto ripetersi questa dinamica, molto comune, da vicino.

Mahatma Gandhi soleva dire: “Le persone urlano quando i loro cuori sono lontani.” E quando nasce un figlio a tutti gli effetti, i genitori, pur uniti nell’amore verso la creatura, si trovano, di fatto, allontanati. Risvegli notturni, allattamento, cure naturali che definirei, naturalmente estenuanti, più tutte le cose che c’erano da fare da prima che ora aumentano.

Spesso il peso ricade maggiormente sulla madre. Non è un giorno che noto questa dinamica, sono anni che lo vedo; un po’ è per come è fatto il cervello maschile, volto alla soluzione, ma lineare nel procedere, arriva alla soluzione, ma di un problema per volta. Non per niente sono le donne a partorire. Con questo non voglio dire che le donne siano superiori o più intelligenti, sono semplicemente multitasking perchè il corpo calloso del cervello, che unisce i due emisferi è il 30% più sviluppato che nell’uomo. Una donna è in grado di vedere un problema sia dal punto di vista razionale che emotivo in modo molto più rapido: e non pensa una cosa per volta, ma parecchie di più. Certo questo può rendere più “lento” il risultato, ma la quantità di dati elaborati è molto maggiore.

Tornando alla dinamica che ho osservato, ve la descrivo, pari pari, come si è verificata davanti ai miei occhi.

Useremo dei nomi fittizzi per privacy. Diciamo che Giovanni è una persona molto retta, raffinata ed esigente con se stesso, in una parola: severo. ha ricevuto una educazione ipertradizionale e crede che attraverso l’ordine, la precisione, gli orari, le norme date e rispettate, tutto proceda senza intoppi.

Marcella, nome di fantasia, studia costantemente per offrire alla propria creatura il massimo degli stimoli utili alla sua crescita lasciandola al contempo libera di esprimere non solo la sua vivacità intellettiva e creativa, ma anche la libertà di non dover assecondare delle esigenze adulte: in parole povere la creatura si sveglia quando vuole, mangia quando ha fame, gioca in modo autonomo, viene allattata a richiesta ( ha 17 mesi) compatibilmente con gli impegni di Marcella che sta prendendo una seconda laurea e ha molti interessi.

Ed ecco la situazione che ho osservato:  il padre osserva la madre e, primo errore, la corregge davanti ad estranei, davanti al pediatra che visita la creatura, davanti a me. La madre, abbozza rassegnata, per non creare una tensione maggiore durante il pasto. Marcella ha fatto scelte radicali in merito agli stimoli motori, segue un metodo per cui la creatura si muove senza aiuti esterni, nello specifico abbiamo sempre visto le creature sostenute dalle braccia e dalle mani per imparare a camminare. Questa scuola di pensiero che ho appreso recentemente e che trovo interessante, lascia la creatura libera di camminare in modo autonomo, quando ne ha voglia e si sente pronta. Quindi, cammina appoggiata al mobilio, a sua misura, ma non chiede la mano per spostarsi.

Questo in Giovanni crea una grande tensione, come se la creatura fosse diversamente abile, perchè la “riprova sociale” indica che i “bravi bambini” devono imparare tutto il prima possibile, per poi, ahimè, diventare bravi prima degli altri per prendere i posti migliori, nella vita, nel lavoro… insomma per Giovanni, ipertradizionale, svezzato precocemente e avviato ad un lavoro competitivo che svolge con solerzia, la scuola di pensiero di Marcella appare un po’ come una provocazione. Come se lui, invece di essere il padre della figlia, dovesse essere il padre di Marcella e Marcella una figlia ribelle.

Potrei sbagliarmi ovviamente, ma da come ho sentito parlare Marcella di Giovanni e per come lui agisce in casa, la dinamica sembra quella.

Ora Marcella è, come si dice, arrivata alla frutta e “non lo regge più. Una madre ha ossitocina e altre sostanze chimiche nel corpo che aumentano la dose di pazienza verso la prole, ma non, verso il partner.

Come risolvere la questione?

Intanto creando una bella cornice d’accordo. Poi un bel “panino comunicativo”. Riprendersi e correggersi l’un l’altro davanti alla bimba non è assolutamente produttivo, inoltre, nel tempo, oltre a creare tensione crea fratture in cui i bambini sanno insinuarsi per prendere potere. Ma questo è un tema troppo grande per trattarlo qui e ora.

Torniamo alla tensione durante i pasti.

La maggior parte dei disturbi alimentari degli adulti nascono a queta età, dallo svezzamento in poi, sempre per questa terrificante “riprova sociale” vi faccio qualche esempio:” Ma mangia? Quanto mangia? Mangia bene?

 

 

Mangia da sola? Ma le dai ancora il latte? ma così si vizia! Ma cresce? Ma cammina? Non Cammina??? E come mai? Ma è battezzata? Non è battezzata? Ma è vaccinata? ” Potrei continuare, ma penso vi siate fatti una idea.

Una madre che abbia, come si dice, spalle abbastanza grosse, fa le sue scelte, consapevole che può sbagliare, impossibile non farlo, ma lo mette nel novero delle cose che inevitabilmente accadranno. Alla fine la maggior parte delle responsabilità, delle colpe, ricadono sulla madre. Da sempre.

Un marito/padre come Giovanni, non riesce a gestire la “riprova sociale” vuole essere omologato, semmai additato per le qualità eccezionali della propria creatura, non ce la fa, mi si passi il termine, a gestire e scelte di Marcella e più lei evolve su questa strada coraggiosa e autonoma, più lui teme di perdere il controllo e va in ansia.

A me verrebbe da dire una cosa molto semplice: “Caro Giovanni, se il tuo metodo funziona sul lavoro, non è detto che questo modello sia applicabile ad una creatura in crescita, che non è una azienda, non è un progetto, non è un business plan. Sei mai stato padre prima? Che esempio ti ha dato tuo padre? Se continui così invece di sostenermi ed aiutarmi, come deve fare un padre di famiglia, diventi un elemento di disturbo. E io, gli elementi di disturbo, li elimino!”.

A volte, per essere sostenute come madri è sufficiente il silenzio assenso.

Nel prossimo articolo vi parlerò di SuperPapà. Perchè esistono e sono sempre più numerosi.

Alla prossima!

 

 

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Sono un genitore spartano

Essere genitori è impegnativo, a volte pare impossibile.

E’ difficile proteggere, senza soffocare, guidare, senza ostruire la visuale, incoraggiare, senza sospingere nè tirare, dare agio al talento di uscire, senza proiettarvi il o i propri talenti,o al contrario gasare perchè “sanno fare quello in cui io sono un impedito”;  mettere paletti, dando la possibilità ove appaia l’intelligenza necessaria, di superarli e trovare una strada intonsa da percorrere, tenersi i batticuori e le paure chiuse nello sgabuzzino delle cianfrusaglie, come cose che non servono a crescere bene i propri figli. CONTINUA A LEGGERE

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Una ciliegia dolce come un bacio

Arriva l’estate

Quanto tempo che non ci leggiamo, pardon, che non mi leggete-  si insomma –  un articolo fresco, con questo caldo torna utile.

Che dirvi?  Continuo ad imparare dalla vita. Sono di quegli esseri umani inguaribilmente ottimisti.

Una di quelle persone che si assumono rischi e responsabilità e che sa chiaramente che, se è felice, lo deve essenzialmente al proprio modo di vedere le cose.

Parliamoci chiaro, sono un complesso e intricato sistema di difetti, rigidità, così come siamo un po’ tutti difettosi, però, ho dalla mia che, assumendomi le responsabilità del mio buon umore

L’estate in genere manda le persone in tilt, il traffico s’incattivisce tra le lamiere arroventate dal caldo, gli scooteristi bollono sull’asfalto tra casco, scarichi e bocchette calde dell’aria condizionata delle auto.

Se perdi il lavoro è impegnativo ritrovarlo.

Se perdi il partner a ridosso delle vacanze, beh.. capita, che vuoi farci?

Le finestre aperte delle case ci permettono, involontariamente, di sentire le tensioni o i gusti culinari e televisivi dei nostri vicini, siamo tutti più vicini.

Insomma l’estate, anche se non andremo in vacanza, ci fa sognare spiagge esotiche con i pirati dei Caraibi, crociere, per chi le ama, spiagge nascoste e solitarie, vette innevate, transiberiane, il cammino di Santiago di Compostela e chi più ne ha più ne metta.

Resta il fatto che l’estate sembra volerci fare delle promesse, che potrebbe poi non mantenere: amore, riposo, vacanze.

Come salvarsi da questi insidiosi richiami da Sirene che poi si rivelano del bluff?

Semplicemente vivendo esclusivamente l’attimo di gioia che percepiamo. Un cibo che amiamo, un gelato, la sorpresa inaspettata di un amico, un piccolo dono, un sorriso dato o ricevuto da una persona sconosciuta. La frutta succosa e dolce. Piccoli attimi sorprendenti che notandoli, ci fate il giro del mondo, andata e ritorno.

Viviamo nel Paese più bello del mondo e ce lo stiamo riprendendo. Giorno dopo giorno. Coraggio!

vi lascio con un video che spero vi strappi una risata. Ridere allunga la vita delle nostre cellule.

Con Amore Susanna

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Parlo dunque comunico? Ma anche no!

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C’è questa grande ingenuità di base: parlo, quindi comunico bene.

Dato che tutti parliamo, tutti crediamo di essere in grado di avere una buona comunicazione. Mi spiace smontarvi questa credenza. Saper emettere suoni in qualsiasi lingua, non equivale a comunicare efficacemente.

questo è comunicare bene vediti il video

Facciamo un primo distinguo basato sui tre postulati della comunicazione:

  • si comunica sempre, ovvero non si può non comunicare.
  • non importa ciò che parte ma importa ciò che arriva.
  • La mappa ( la tua concezione del mondo) non è il territorio ( non è il mondo).

Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Assiomi_della_comunicazione Gli assiomi della comunicazione furono elaborati dalla scuola di Palo Alto (California), di cui uno dei maggiori esponenti fu Paul Watzlawick, ed indicano degli elementi sempre presenti in una comunicazione. Se volete scartabellare su wikipedia.

Sinteticamente vorrei darvi un po’ di dritte se volete trasmettere qualcosa e fare in modo che il vostro o i vostri se più di uno, interlocutori, comprendano che cosa gli state dicendo.

Parliamo quindi di public speaking ovvero parlare in pubblico.

Se parli in pubblico non solo devi conoscere i tre postulati della comunicazione e applicarli, non solo devi conoscere la comunicazione persuasiva che io preferisco definire seducente, ovvero che adduce a te le persone, ma devi proprio essere esperto di comunicazione in pubblico.

Parlare ad una persona è diverso che parlare ad un gruppo di persone.

Negli anni in cui ho lavorato all’interno della struttura di HRD, azienda che si occupa di formazione da oltre venti anni, ho imparato la cura minuziosa del particolare, che va dalla disposizione delle sedie e della lavagna nella sala, alla distanza, orientamento delle sedie stesse, dall’oratore. Particolari importantissimi se vogliamo coinvolgere in modo uguale tutte le persone presenti.

La voce meriterebbe poi un capitolo a parte e sono stati scritti molti libri su questo tema, uno dei più interessanti è “I colori della voce” di Ciro Imparato che, da doppiatore eccelso e quindi attore, ne sapeva proprio di tutti i colori!

Mi ci vogliono più di tre settimane per preparare un buon discorso improvvisato” ( Marc Twain)

Veniamo ora ad un po’ di indicazioni fondamentali, premettendo che questo  non vuole essere un modello esaustivo, ma solo uno spunto per un percorso di formazione che dovrebbero fare tutte le persone che parlano in pubblico.

  • Il luogo che ho scelto per la mia presentazione è giusto? Acustica, spazio vitale, condizioni ambientali, sono ottimali per i miei ospiti?
  • Chi sono i miei interlocutori? Li conosco? Se non li conosci devi saperli coinvolgere teoricamente conoscendo il VAK, ovvero i sistemi rappresentazionali delle persone, ma solo questo meriterebbe un articolo a parte. Se non conosci il VAK, userai variabilità vocale, quindi voce timbricamente acuta, media e bassa; variabilità ritmica: veloce, normale, lento; variabilità di potenza: sussurro, normale, voce portata.
  • Cosa voglio trasferire? Qualsiasi cosa tu voglia trasferire, il veicolo è sempre emozionale. Vuoi emozionare? Emozionati tu per primo.
  • Sai cosa vuoi dire? Conosci l’argomento da trattare? Non c’è niente di più noioso per il pubblico, che sentire una voce monocorde che legge una slide proiettata sul muro. Meglio dire una cosa in meno, però che passi dal cuore, che voler essere esaustivo a tutti i costi. Riempi la testa della persona e non gli resta nulla.
  • Sai essere interessante? Sai sorprendere l’uditorio? Sai mantenere desta l’attenzione?
  • Sai usare bene le parole tecniche? La risposta è si, se poi le spieghi con parole semplici, comuni a tutti. In PNL si dice :comunicazione sapientemente vaga.
  • Sii breve nei periodi del discorso. Non fare una secondaria di una secondaria di una secondaria. Il sole splende. Punto. E’ un’assioma, E’ inoppugnabile. Se dici: “Il sole splende ma nel deserto brucia poi ci sono le persone che soffrono con gli occhi e allora vanno dal dottore che poi bisogna vedere che dottore è…” ADDIO! Ti sei perso tutta l’attenzione.
  • Ti muovi nello spazio? La dinamica del corpo mette in moto la dinamica vocale, ti verrà naturale fare delle variazioni indicate al punto 2 . Ti permette di guardare tutti o almeno dare quella sensazione nel pubblico, cosa che mantiene desta l’attenzione. Se stai per dire una cosa importante: STOP fermati e cambia tono di voce.
  • Ti sei fatto una scaletta o una mappa mentale? Potrai buttarci un occhio per controllare di aver trattato tutti i punti che volevi toccare.
  • Fai partecipare il pubblico attraverso il sorriso, si chiama edutainment: educare attraverso il divertimento.
  • Ti prepari un aneddoto, una storiella, una barzelletta? Soprattutto all’inizio, scalda l’uditorio e predispone all’apertura e all’ascolto attivo.
  • C’è qualche citazione che ti piacerebbe fare? Una o due sono utilissime, sia all’inizio che alla fine, danno un senso di completezza e soddisfazione nell’ascoltatore, si sente coinvolto emotivamente e culturalmente, sia che la conosca o no; certo il personaggio citato deve essere conosciuto da tutti: Ghandi, Mandela, persone di questo calibro.
  • Sai essere autorevole? Lo sguardo è diretto? Il gesto è sicuro? Il passo ampio? Avere uno sguardo dimesso e un passo incerto non è una bella carta da giocare quando si parla in pubblico. Esercitati.
  • Al punto 2 ti ho chiesto se conosci i tuoi interlocutori. Prima del tuo discorso probabilmente se è un incontro per pochi, ti saranno presentati, memorizza il nome. Il nostro nome è un richiamo affettivo, è la cosa che abbiamo sentito di più nella nostra vita. Ci piace essere chiamati per nome.
  • Lo sai che tuo corpo parla più di te? Postura, gestualità, respirazione sono i cardini di una buona comunicazione non verbale. Il respiro deve essere ampio ed armonico.
  • Sai vestirti in modo adeguato? Tu rappresenti il tuo gruppo, vestiti trasandati o troppo aderenti o sgargianti, capelli di mille colori distraggono da ciò che vuoi dire e tolgono autorevolezza a te e al discorso che fai.
  • Osserva e ascolta il tuo pubblico mentre esponi, incoraggia la comunicazione da parte loro attraverso domande, anche ovvie:”State bene?” Vivacizza e ti rende reattivo e proattivo rispetto alla comunicazione che stai facendo.
  • In termini di public speaking cercati un modello osservando i grandi oratori e adotta quelle strategie comunicative che senti congruenti con te, che si confanno alla tua sensibilità e natura.
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    Parlo dunque comunico? Ma anche no! Leggi tutto »