Mara, una donna e non solo una mamma
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quante volte sei dovut@ scappare via dal supermercato per il capriccio urlante del tuo bambino?
Nel video ti do una strategia efficace per capire:
1 come funziona la mente del bambino e assecondarla
2 per smettere di vergognarti quando ti succede questa cosa e vivertela molto meglio!
https://youtu.be/JhNzaG7oeow?si=M7N2OkFA9FHJ5hWc
#dacapricco a #sorrisi al #supermercato Leggi tutto »
E questo accade anche nelle famiglie più amorevoli.
Anzi. A volte si arriva addirittura a smettere di elencare le cose che non vanno, non perchè improvvisamente siano migliorate ma, al contrario, il partner, non ascolta. E non c’è peggior sordo…
Di recente ho visto ripetersi questa dinamica, molto comune, da vicino.
Mahatma Gandhi soleva dire: “Le persone urlano quando i loro cuori sono lontani.” E quando nasce un figlio a tutti gli effetti, i genitori, pur uniti nell’amore verso la creatura, si trovano, di fatto, allontanati. Risvegli notturni, allattamento, cure naturali che definirei, naturalmente estenuanti, più tutte le cose che c’erano da fare da prima che ora aumentano.
Spesso il peso ricade maggiormente sulla madre. Non è un giorno che noto questa dinamica, sono anni che lo vedo; un po’ è per come è fatto il cervello maschile, volto alla soluzione, ma lineare nel procedere, arriva alla soluzione, ma di un problema per volta. Non per niente sono le donne a partorire. Con questo non voglio dire che le donne siano superiori o più intelligenti, sono semplicemente multitasking perchè il corpo calloso del cervello, che unisce i due emisferi è il 30% più sviluppato che nell’uomo. Una donna è in grado di vedere un problema sia dal punto di vista razionale che emotivo in modo molto più rapido: e non pensa una cosa per volta, ma parecchie di più. Certo questo può rendere più “lento” il risultato, ma la quantità di dati elaborati è molto maggiore.
Tornando alla dinamica che ho osservato, ve la descrivo, pari pari, come si è verificata davanti ai miei occhi.
Useremo dei nomi fittizzi per privacy. Diciamo che Giovanni è una persona molto retta, raffinata ed esigente con se stesso, in una parola: severo. ha ricevuto una educazione ipertradizionale e crede che attraverso l’ordine, la precisione, gli orari, le norme date e rispettate, tutto proceda senza intoppi.
Marcella, nome di fantasia, studia costantemente per offrire alla propria creatura il massimo degli stimoli utili alla sua crescita lasciandola al contempo libera di esprimere non solo la sua vivacità intellettiva e creativa, ma anche la libertà di non dover assecondare delle esigenze adulte: in parole povere la creatura si sveglia quando vuole, mangia quando ha fame, gioca in modo autonomo, viene allattata a richiesta ( ha 17 mesi) compatibilmente con gli impegni di Marcella che sta prendendo una seconda laurea e ha molti interessi.
Ed ecco la situazione che ho osservato: il padre osserva la madre e, primo errore, la corregge davanti ad estranei, davanti al pediatra che visita la creatura, davanti a me. La madre, abbozza rassegnata, per non creare una tensione maggiore durante il pasto. Marcella ha fatto scelte radicali in merito agli stimoli motori, segue un metodo per cui la creatura si muove senza aiuti esterni, nello specifico abbiamo sempre visto le creature sostenute dalle braccia e dalle mani per imparare a camminare. Questa scuola di pensiero che ho appreso recentemente e che trovo interessante, lascia la creatura libera di camminare in modo autonomo, quando ne ha voglia e si sente pronta. Quindi, cammina appoggiata al mobilio, a sua misura, ma non chiede la mano per spostarsi.
Questo in Giovanni crea una grande tensione, come se la creatura fosse diversamente abile, perchè la “riprova sociale” indica che i “bravi bambini” devono imparare tutto il prima possibile, per poi, ahimè, diventare bravi prima degli altri per prendere i posti migliori, nella vita, nel lavoro… insomma per Giovanni, ipertradizionale, svezzato precocemente e avviato ad un lavoro competitivo che svolge con solerzia, la scuola di pensiero di Marcella appare un po’ come una provocazione. Come se lui, invece di essere il padre della figlia, dovesse essere il padre di Marcella e Marcella una figlia ribelle.
Potrei sbagliarmi ovviamente, ma da come ho sentito parlare Marcella di Giovanni e per come lui agisce in casa, la dinamica sembra quella.
Ora Marcella è, come si dice, arrivata alla frutta e “non lo regge più. Una madre ha ossitocina e altre sostanze chimiche nel corpo che aumentano la dose di pazienza verso la prole, ma non, verso il partner.
Come risolvere la questione?
Intanto creando una bella cornice d’accordo. Poi un bel “panino comunicativo”. Riprendersi e correggersi l’un l’altro davanti alla bimba non è assolutamente produttivo, inoltre, nel tempo, oltre a creare tensione crea fratture in cui i bambini sanno insinuarsi per prendere potere. Ma questo è un tema troppo grande per trattarlo qui e ora.
Torniamo alla tensione durante i pasti.
La maggior parte dei disturbi alimentari degli adulti nascono a queta età, dallo svezzamento in poi, sempre per questa terrificante “riprova sociale” vi faccio qualche esempio:” Ma mangia? Quanto mangia? Mangia bene?
Mangia da sola? Ma le dai ancora il latte? ma così si vizia! Ma cresce? Ma cammina? Non Cammina??? E come mai? Ma è battezzata? Non è battezzata? Ma è vaccinata? ” Potrei continuare, ma penso vi siate fatti una idea.
Una madre che abbia, come si dice, spalle abbastanza grosse, fa le sue scelte, consapevole che può sbagliare, impossibile non farlo, ma lo mette nel novero delle cose che inevitabilmente accadranno. Alla fine la maggior parte delle responsabilità, delle colpe, ricadono sulla madre. Da sempre.
Un marito/padre come Giovanni, non riesce a gestire la “riprova sociale” vuole essere omologato, semmai additato per le qualità eccezionali della propria creatura, non ce la fa, mi si passi il termine, a gestire e scelte di Marcella e più lei evolve su questa strada coraggiosa e autonoma, più lui teme di perdere il controllo e va in ansia.
A me verrebbe da dire una cosa molto semplice: “Caro Giovanni, se il tuo metodo funziona sul lavoro, non è detto che questo modello sia applicabile ad una creatura in crescita, che non è una azienda, non è un progetto, non è un business plan. Sei mai stato padre prima? Che esempio ti ha dato tuo padre? Se continui così invece di sostenermi ed aiutarmi, come deve fare un padre di famiglia, diventi un elemento di disturbo. E io, gli elementi di disturbo, li elimino!”.
A volte, per essere sostenute come madri è sufficiente il silenzio assenso.
Nel prossimo articolo vi parlerò di SuperPapà. Perchè esistono e sono sempre più numerosi.
Alla prossima!
N’ te regghe più Leggi tutto »
Una via per una società più equilibrata
Nell’ambito dell’arteterapia, lo Studio è stato per certo una realtà che ha preconizzato un futuro poi codificato e studiato da terapeuti, lo stesso Gianpistone fra i primi, applicato oggi in molte strutture ufficiali ed istituzionalizzate. L’arte è uno strumento di aggregazione fortissimo e una forma di comunicazione molto efficace a vari livelli.
Non è questa la sede per sollevare una questione tanto rilevante quale l’importanza di adattare la nostra comunicazione agli interlocutori che abbiamo, tematica quanto mai attuale, sia per la globalizzazione che per lo scontro di civiltà, evitabile attraverso la conoscenza e la mediazione.
Ci interessa però rilevare che l’osservazione e gli studi effettuati dalla fondatrice della GdL, ovvero la disciplina che studia la globalità dei linguaggi, ci portano ad osservare che una società sana accoglie le diversità considerandole ricchezze. Nel suo saggio introduttivo Stefania Guerra Lisi (2000, p. 39) sostiene che:
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(…) parlando di comunicazione del non detto, non ci si esprime in un modo solo, neanche quando si parla(…) si tratta di accogliere la comunicazione della persona nella sua interezza (…) (un) comunicare che tende all’intesa con l’altro, in termini che superano le differenze.
Superare le differenze significa anche dare la possibilità al diversamente abile di essere accolto e riconosciuto nel suo diritto alla diversità. La Guerra Lisi prosegue:
Quando si parla di disadattamento, si pensa ad una persona che non è riuscita ad adattarsi ad uno sfondo: extracomunitari, persone handicappate, anziani, che vedono stravolta la propria identità(…) Ma (…) non si può parlare di “disadattamento”, perché non è la persona che deve adattarsi all’ambiente; lo sforzo sociale tutto umano è quello di fare in modo di essere uno sfondo adeguato alla persona. (…) quando parlo di valorizzazione della persona, intendo dire che ciascun essere umano ha innati potenziali per potersi accomodare all’ambiente [1], purché l’ambiente sia favorevole al suo sviluppo.
Ed in merito ad uno sviluppo equilibrato dell’individuo, la Guerra Lisi (ivi, p. 40) rileva che:
(…) E’ come un gioco ad anelli concentrici: dentro c’è il bambino, il bambino è in un grembo materno, la mamma deve avere un buon contenimento nel rapporto di coppia, nel grembo sociale e via dicendo.
Quindi per me, la prevenzione intesa come crescita, sviluppo dell’attitudine alla nonviolenza ha origine appunto dal concepimento in poi in un grembo sociale, non in un grembo materno e basta.
E’ un percorso educativo tutto da rifare nelle nostre civiltà definite avanzate. In un villaggio etnico tradizionale un nuovo membro del nucleo sociale è accolto simbolicamente: ad esempio, ogni componente del villaggio offre un granello di grano, per garantire simbolicamente a questa persona che tutti parteciperanno alla sua crescita. e in quale modo. Ora ciò che è importante non è tanto la sovvenzione, quanto il contenimento affettivo che nel villaggio è rappresentato dal seme di grano.
Riconoscere la diversità come risorsa, rappresenta un elemento di primaria importanza, non solo per l’equilibrio sociale di una realtà locale, una comunità, una città, ecc. ma, applicato in una chiave globalizzata serve a supportare una cultura della pace, come acutamente analizza la Guerra Lisi (ivi, p. 40):
Credo che il portatore di handicap, prima di tutto sia un portatore di cultura: ci permette infatti di cogliere, attraverso la realtà dell’handicap, quanti potenziali umani ci siano per la comunicazione, quanti se ne sviluppino o possano svilupparsi se l’altro si predispone all’ascolto… E questa è cultura della pace. Il rapporto con l’handicappato ci arricchisce di strumenti necessari per l’accoglienza, la disponibilità, l’ascolto; ma solo ad una condizione: dobbiamo sentire l’handicappato promotore di disponibilità, ascolto, accoglienza e non oggetto di queste.
La parola villaggio, utilizzata dalla Guerra Lisi, evoca automaticamente immagini, fiabe, miti, riti e topoi cinematografici, motivando una ricerca atta a stabilire se le realtà dei villaggi africani, civiltà a noi più prossime in termini geografici, abbiano qualcosa di più di una ideale attinenza con il villaggio che accoglie e nutre simbolicamente il nuovo nato.
Il primo testimone del riconoscimento di civiltà in quanto tali, extraeuropee, è stato proprio Claude Levi-Strauss (1970), ipotizzando una mediazione tra la nostra cultura occidentale e le culture dei cosiddetti “primitivi” per approdare ad un assetto più equilibrato, tra civiltà calda occidentale che è tecnologicamente avanzata ma piena di conflitti, e civiltà fredde, più stabili ma statiche.
Uno studioso che ci ha guidato nel nostro approccio antropologico a questa tematica è stato Davidson, asserendo che in tutte le sue varianti i modelli sociali africani consistevano (1997, p. 39): “(…)nella formulazione di uno statuto sociale ratificato dal senso di ciò che era “giusto e naturale” ( tra virgolette nel testo ), il senso di camminare nella direzione della vita, confermato ed elaborato(…) da un’ampia gamma di arti(…)”.
La famiglia era costituita da un “gruppo nucleare” tre o quattro generazioni, dai nonni ai nipoti e bisnipoti, sotto la guida di una persona che lo rappresentava nei consigli politici o nelle cerimonie che interessavano diverse famiglie. Questa struttura dà un’identità ideologica e statutaria al gruppo. Una comunità dove ogni individuo, in equilibrio con la natura, svolgeva la funzione sociale assegnatagli. L’equilibrio con la natura era indispensabile per la sopravvivenza del gruppo.
I conflitti, il potere, l’accumulo, o come lo definisce Davidson (ivi, p. 51) il “più di quanto basta” erano malvisti nella maggior parte delle civiltà osservate dallo studioso.
Ora, pur non volendo rendere paradisiaco un mondo organizzato in strutture rigide e poco propense alle novità, non si può non notare come tale organizzazione sociale possa per certi versi essere ripresa come modello, in quanto ordine sociale e ordine morale sono strettamente e inestricabilmente connessi.
Ci preme qui ricordare come il gruppo dello Studio fosse costituito anche da interi nuclei familiari, composti da nonni, figli e nipoti.
In una civiltà orale, come quella africana, il sapere passa da una generazione all’altra per trasmissione diretta. Ora nello Studio, più generazioni sono affiancate e in contatto diretto così che il valore di chi ha vissuto prima di noi sia una risorsa preziosa, da non perdere. Anche questa tematica della riscoperta dei saperi che ci hanno preceduto, è stata anticipata dallo Studio.
[1] nota che la Guerra Lisi intende per accomodamento il fatto che l’individuo per sua natura ricerca il principio del piacere, quindi a star comodo
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