Una via per una società più equilibrata

Continuo a pubblicare stralci dalla mia tesi di laurea sullo Studio Arte Equipe 66 perchè ritengo che, per una crescita armonica della società, si debba innanzitutto formare degli adulti consapevoli ed equilibrati. Lo Studio Arte Equipe 66, pur non volendo essere l’unica “ricetta” valida a questo scopo è stato di sicuro un luogo di formazione, a vari livelli, di eccellente qualità. Ed ecco qui di seguito un paragrafo importante. Buona lettura.

Una via per una società più equilibrata

 

Nell’ambito dell’arteterapia, lo Studio è stato per certo una realtà che ha preconizzato un futuro poi codificato e studiato da terapeuti, lo stesso Gianpistone fra i primi, applicato oggi in molte strutture ufficiali ed istituzionalizzate. L’arte è uno strumento di aggregazione fortissimo e una forma di comunicazione molto efficace a vari livelli.

Non è questa la sede per sollevare una questione  tanto rilevante quale l’importanza di adattare la nostra comunicazione agli interlocutori che abbiamo, tematica quanto mai attuale, sia per la globalizzazione che per lo scontro di civiltà, evitabile attraverso la conoscenza e la mediazione.

Ci interessa però rilevare che l’osservazione e gli studi effettuati dalla fondatrice della GdL, ovvero la disciplina che studia la globalità dei linguaggi, ci portano ad osservare che una società sana accoglie le diversità considerandole ricchezze. Nel suo saggio introduttivo Stefania Guerra Lisi (2000, p. 39) sostiene che:

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(…) parlando di comunicazione del non detto, non ci si esprime in un modo solo, neanche quando si parla(…) si tratta di accogliere la comunicazione della persona nella sua interezza (…) (un) comunicare che tende all’intesa con l’altro, in termini che superano le differenze.

Superare le differenze significa anche dare la possibilità al diversamente abile di essere accolto e riconosciuto nel suo diritto alla diversità. La Guerra Lisi prosegue:

Quando si parla di disadattamento, si pensa ad una persona che non è riuscita ad adattarsi ad uno sfondo: extracomunitari, persone handicappate, anziani, che vedono stravolta la propria identità(…) Ma (…) non si può parlare di “disadattamento”, perché non è la persona che deve adattarsi all’ambiente; lo sforzo sociale tutto umano è quello di fare in modo di essere uno sfondo adeguato alla persona. (…) quando parlo di valorizzazione della persona, intendo dire che ciascun essere umano ha innati  potenziali per potersi accomodare all’ambiente [1], purché l’ambiente sia favorevole al suo sviluppo.

Ed in merito ad uno sviluppo equilibrato dell’individuo, la Guerra Lisi (ivi, p. 40) rileva che:

(…) E’ come un gioco ad anelli concentrici: dentro c’è il bambino, il bambino è in un grembo materno, la mamma deve avere un buon contenimento nel rapporto di coppia, nel grembo sociale e via dicendo.

Quindi per me, la prevenzione intesa come crescita, sviluppo dell’attitudine alla nonviolenza ha origine appunto dal concepimento in poi in un grembo sociale, non in un grembo materno e basta.

E’ un percorso educativo tutto da rifare nelle nostre civiltà definite avanzate. In un  villaggio etnico tradizionale un nuovo membro del nucleo sociale è accolto simbolicamente: ad esempio, ogni componente del villaggio offre un granello di grano, per garantire simbolicamente a questa persona che tutti parteciperanno alla sua crescita. Nella nostra società, quando la donna è incinta (…) il problema è solo se sovvenzionare la donna Condividi il Tweete in quale modo. Ora ciò che è importante non è tanto la sovvenzione, quanto il contenimento affettivo che nel villaggio è rappresentato dal seme di grano.

Riconoscere la diversità come risorsa, rappresenta un elemento di primaria importanza, non solo per l’equilibrio sociale di una realtà locale, una comunità, una città, ecc. ma, applicato in una chiave globalizzata serve a supportare una cultura della pace, come acutamente analizza la Guerra Lisi (ivi, p. 40):

Credo che il portatore di handicap, prima di tutto sia un portatore di cultura: ci permette infatti di cogliere, attraverso la realtà dell’handicap, quanti potenziali umani ci siano per la comunicazione, quanti se ne sviluppino o possano svilupparsi se l’altro si predispone all’ascolto… E questa è  cultura della pace. Il rapporto con l’handicappato ci arricchisce di strumenti necessari per l’accoglienza, la disponibilità, l’ascolto; ma solo ad una condizione: dobbiamo sentire l’handicappato promotore di disponibilità, ascolto, accoglienza e non oggetto di queste.

La parola villaggio, utilizzata dalla Guerra Lisi, evoca automaticamente immagini, fiabe, miti, riti  e topoi cinematografici, motivando una ricerca atta a stabilire se le realtà dei villaggi africani, civiltà a noi più prossime in termini geografici, abbiano qualcosa di più di una ideale attinenza con il villaggio che accoglie e nutre simbolicamente il nuovo nato.

Il primo testimone del riconoscimento di civiltà in quanto tali, extraeuropee, è stato proprio Claude Levi-Strauss (1970), ipotizzando una mediazione tra la nostra cultura occidentale e le culture dei cosiddetti “primitivi” per approdare ad un assetto più equilibrato, tra civiltà calda occidentale che è tecnologicamente avanzata ma piena di conflitti, e civiltà fredde, più stabili ma statiche.

Uno studioso che ci ha guidato nel nostro approccio antropologico a questa tematica è stato Davidson, asserendo che in tutte le sue varianti i modelli sociali africani consistevano (1997, p. 39): “(…)nella formulazione di uno statuto sociale ratificato dal senso di ciò che era “giusto e naturale” ( tra virgolette nel testo ), il senso di camminare nella direzione della vita, confermato ed elaborato(…) da un’ampia gamma di arti(…)”.

La famiglia era costituita da un “gruppo nucleare”  tre o quattro generazioni, dai nonni ai nipoti e bisnipoti, sotto la guida di una persona che lo rappresentava nei consigli politici o nelle cerimonie che interessavano diverse famiglie. Questa struttura dà un’identità ideologica e statutaria al gruppo. Una comunità dove ogni individuo, in equilibrio con la natura, svolgeva la funzione sociale assegnatagli. L’equilibrio con la natura era indispensabile per la sopravvivenza del gruppo.

I conflitti, il potere, l’accumulo, o come lo definisce Davidson (ivi, p. 51) il “più di quanto basta” erano malvisti nella maggior parte delle civiltà osservate dallo studioso.

Ora, pur non volendo rendere paradisiaco un mondo organizzato in strutture rigide e poco propense alle novità, non si può non notare come tale organizzazione sociale possa per certi versi essere ripresa come modello, in quanto ordine sociale e ordine morale sono strettamente  e inestricabilmente connessi.

Ci preme qui ricordare come il gruppo dello Studio fosse costituito anche da interi nuclei familiari, composti da nonni, figli e nipoti.

In una civiltà orale, come quella africana, il sapere passa da una generazione all’altra per trasmissione diretta. Ora nello Studio, più generazioni sono affiancate e in contatto diretto così che il valore di chi ha vissuto prima di noi sia una risorsa preziosa, da non perdere. Anche questa tematica della riscoperta dei saperi che ci hanno preceduto, è stata anticipata dallo Studio.

 

 

[1] nota che la Guerra Lisi intende per accomodamento il fatto che l’individuo per sua natura ricerca il principio del piacere, quindi a star comodo

1 commento su “Una via per una società più equilibrata”

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