Consulenza familiare

Litigare ferocemente davanti a tuo figlio provoca PTSD

LO SAI CHE LITIGARE FEROCEMENTE DAVANTI AI FIGLI È CONSIDERATA VIOLENZA DOMESTICA?😭😭😭
i bambini molto piccoli possono sviluppare il PTSD 🥹 disturbo post traumatico da stress, diventare insicuri, sviluppare da grandi, relazioni tossiche.
Te la senti di continuare come stai facendo? 😱😱😱
O vuoi fare come Giovanna, Enrica, Matteo ( nomi di fantasia per rispettare la privacy) che sono usciti dal tunnel del litigio distruttivo della famiglia!
Quante famiglie vedi distruggersi così, oltre la tua?
Il motivo è semplice:
📍 Replichi un comportamento che hai subito da piccol@
📍 Non eri di pront@ al carico emotivo che i bambini piccoli comportano
📍 Nessuno ti ha insegnato a gestire i conflitti da piccol@ e ora quando si litiga, urli o ti chiudi nel mutismo, ma la frattura nel rapporto si fa sempre più ampia e dolorosa…
Non sei esaust@???
Non ti senti ANNIENTAT@???
Spezza questa catena per decidere insieme di rigenerare la vostra vita di coppia ritrovando il dialogo e preservando la felicità dei vostri figli. CONTINUA A LEGGERE

Litigare ferocemente davanti a tuo figlio provoca PTSD Leggi tutto »

N’ te regghe più

Per chi non se lo ricorda, il titolo di questo articolo era il ritornello/tormentone di una canzone di Rino Gaetano. Rino snocciolava un lungo elenco di cose che non sopportava più.

E questo accade anche nelle famiglie più amorevoli.

Anzi. A volte si arriva addirittura a smettere di elencare le cose che non vanno, non perchè improvvisamente siano migliorate ma, al contrario, il partner, non ascolta. E non c’è peggior sordo…

Di recente ho visto ripetersi questa dinamica, molto comune, da vicino.

Mahatma Gandhi soleva dire: “Le persone urlano quando i loro cuori sono lontani.” E quando nasce un figlio a tutti gli effetti, i genitori, pur uniti nell’amore verso la creatura, si trovano, di fatto, allontanati. Risvegli notturni, allattamento, cure naturali che definirei, naturalmente estenuanti, più tutte le cose che c’erano da fare da prima che ora aumentano.

Spesso il peso ricade maggiormente sulla madre. Non è un giorno che noto questa dinamica, sono anni che lo vedo; un po’ è per come è fatto il cervello maschile, volto alla soluzione, ma lineare nel procedere, arriva alla soluzione, ma di un problema per volta. Non per niente sono le donne a partorire. Con questo non voglio dire che le donne siano superiori o più intelligenti, sono semplicemente multitasking perchè il corpo calloso del cervello, che unisce i due emisferi è il 30% più sviluppato che nell’uomo. Una donna è in grado di vedere un problema sia dal punto di vista razionale che emotivo in modo molto più rapido: e non pensa una cosa per volta, ma parecchie di più. Certo questo può rendere più “lento” il risultato, ma la quantità di dati elaborati è molto maggiore.

Tornando alla dinamica che ho osservato, ve la descrivo, pari pari, come si è verificata davanti ai miei occhi.

Useremo dei nomi fittizzi per privacy. Diciamo che Giovanni è una persona molto retta, raffinata ed esigente con se stesso, in una parola: severo. ha ricevuto una educazione ipertradizionale e crede che attraverso l’ordine, la precisione, gli orari, le norme date e rispettate, tutto proceda senza intoppi.

Marcella, nome di fantasia, studia costantemente per offrire alla propria creatura il massimo degli stimoli utili alla sua crescita lasciandola al contempo libera di esprimere non solo la sua vivacità intellettiva e creativa, ma anche la libertà di non dover assecondare delle esigenze adulte: in parole povere la creatura si sveglia quando vuole, mangia quando ha fame, gioca in modo autonomo, viene allattata a richiesta ( ha 17 mesi) compatibilmente con gli impegni di Marcella che sta prendendo una seconda laurea e ha molti interessi.

Ed ecco la situazione che ho osservato:  il padre osserva la madre e, primo errore, la corregge davanti ad estranei, davanti al pediatra che visita la creatura, davanti a me. La madre, abbozza rassegnata, per non creare una tensione maggiore durante il pasto. Marcella ha fatto scelte radicali in merito agli stimoli motori, segue un metodo per cui la creatura si muove senza aiuti esterni, nello specifico abbiamo sempre visto le creature sostenute dalle braccia e dalle mani per imparare a camminare. Questa scuola di pensiero che ho appreso recentemente e che trovo interessante, lascia la creatura libera di camminare in modo autonomo, quando ne ha voglia e si sente pronta. Quindi, cammina appoggiata al mobilio, a sua misura, ma non chiede la mano per spostarsi.

Questo in Giovanni crea una grande tensione, come se la creatura fosse diversamente abile, perchè la “riprova sociale” indica che i “bravi bambini” devono imparare tutto il prima possibile, per poi, ahimè, diventare bravi prima degli altri per prendere i posti migliori, nella vita, nel lavoro… insomma per Giovanni, ipertradizionale, svezzato precocemente e avviato ad un lavoro competitivo che svolge con solerzia, la scuola di pensiero di Marcella appare un po’ come una provocazione. Come se lui, invece di essere il padre della figlia, dovesse essere il padre di Marcella e Marcella una figlia ribelle.

Potrei sbagliarmi ovviamente, ma da come ho sentito parlare Marcella di Giovanni e per come lui agisce in casa, la dinamica sembra quella.

Ora Marcella è, come si dice, arrivata alla frutta e “non lo regge più. Una madre ha ossitocina e altre sostanze chimiche nel corpo che aumentano la dose di pazienza verso la prole, ma non, verso il partner.

Come risolvere la questione?

Intanto creando una bella cornice d’accordo. Poi un bel “panino comunicativo”. Riprendersi e correggersi l’un l’altro davanti alla bimba non è assolutamente produttivo, inoltre, nel tempo, oltre a creare tensione crea fratture in cui i bambini sanno insinuarsi per prendere potere. Ma questo è un tema troppo grande per trattarlo qui e ora.

Torniamo alla tensione durante i pasti.

La maggior parte dei disturbi alimentari degli adulti nascono a queta età, dallo svezzamento in poi, sempre per questa terrificante “riprova sociale” vi faccio qualche esempio:” Ma mangia? Quanto mangia? Mangia bene?

 

 

Mangia da sola? Ma le dai ancora il latte? ma così si vizia! Ma cresce? Ma cammina? Non Cammina??? E come mai? Ma è battezzata? Non è battezzata? Ma è vaccinata? ” Potrei continuare, ma penso vi siate fatti una idea.

Una madre che abbia, come si dice, spalle abbastanza grosse, fa le sue scelte, consapevole che può sbagliare, impossibile non farlo, ma lo mette nel novero delle cose che inevitabilmente accadranno. Alla fine la maggior parte delle responsabilità, delle colpe, ricadono sulla madre. Da sempre.

Un marito/padre come Giovanni, non riesce a gestire la “riprova sociale” vuole essere omologato, semmai additato per le qualità eccezionali della propria creatura, non ce la fa, mi si passi il termine, a gestire e scelte di Marcella e più lei evolve su questa strada coraggiosa e autonoma, più lui teme di perdere il controllo e va in ansia.

A me verrebbe da dire una cosa molto semplice: “Caro Giovanni, se il tuo metodo funziona sul lavoro, non è detto che questo modello sia applicabile ad una creatura in crescita, che non è una azienda, non è un progetto, non è un business plan. Sei mai stato padre prima? Che esempio ti ha dato tuo padre? Se continui così invece di sostenermi ed aiutarmi, come deve fare un padre di famiglia, diventi un elemento di disturbo. E io, gli elementi di disturbo, li elimino!”.

A volte, per essere sostenute come madri è sufficiente il silenzio assenso.

Nel prossimo articolo vi parlerò di SuperPapà. Perchè esistono e sono sempre più numerosi.

Alla prossima!

 

 

N’ te regghe più Leggi tutto »

Sei un genitore di talento?

860949390_258df08af6_z

Ebbene si, anche per essere genitori, ci vuole talento.

L’amore per i propri figli è innato, istintivo, primordiale per la protezione della specie. Purtroppo non è così. Serve talento che si ha, o si sviluppa. Come? Andando a scuola.

Molti genitori di oggi comprano libri, a volte li leggono, a volte no. Ma i libri spesso, sono desueti, non aggiornati alla situazione attuale. Perché così come la società e la tecnologia avanzano a velocità siderale, così, per essere sul pezzo, come genitori, dobbiamo sapere in profondità, qual è la società in cui sono immersi.

E se ho solo tanto tanto amore?

Vai a scuola.

A cosa ti servirà questa scuola?

A un sacco di cose, vediamone un po’ senza ordine cronologico:

  • Focalizzare la natura del problema, quando emerge e il tipo di soluzione ideale
  • Essere autorevole e guidare, fin dove ce n’è bisogno e non oltre
  • Creare dei riferimenti sicuri che gli facciano riconoscere ciò che è buono da ciò che non lo è
  • Riconoscere, rispettare, sostenere i suoi talenti e aiutarlo a svilupparli
  • Creare la consapevolezza che la disciplina è soprattutto, autodisciplina
  • Creare un ambiente amorevole
  • Essere d’esempio come qualità di vita
  • CONTINUA A LEGGERE

    Sei un genitore di talento? Leggi tutto »

    Gioco, ergo sum

    mamma

    In questo articolo vedrete apparire alcune immagini dei miei pupazzi, perché si gioca a tutte le età e, io credo, quando si smette di giocare, s’invecchia di brutto.

    C’è qualcosa che mi preoccupa dei bambini occidentali di oggi.

    Non sanno più giocare insieme. Alle feste di compleanno ci sono gli “animatori”. Nulla da dire su questa categoria di lavoratori, ce ne sono di bravissimi, ma è proprio il concetto che il bambino sia da animare, che è preoccupante. Il bambino di suo è una forza creativa.

    le volpi

    Non basta dire che la società è cambiata, quello è ovvio, la questione è che  dei genitori dei nonni;  insomma  è il pacchetto di aspettative dei genitori a condizionarne l’ambiente di crescita e anche la tipologia di giochi ritenuti “convenienti” per il suo sviluppo.

    per tramutare un oggetto in un altro, con la fantasia. Ora i bambini sanno tante cose ma sono poco “bambini”. Sanno nuotare, cantare ballare, parlano più lingue già da piccoli ma… il gioco? Giocano nelle loro camerette piene di giochi industriali e non sanno fare i giochi di gruppo che servono per una crescita equilibrata per sentirsi parte della società umana.

    principessa

    Vediamo le modifiche sostanziali tra il bambino di “una volta” e quello di oggi

    Bottoni, acqua e farina, acqua e terra, biglie, trottole, un gessetto  ed eravamo i padroni del mondo. Correre andare in bici, ruba bandiera, nascondino, acchiapparella erano le nostre attività fisiche.

    spettacolo in piazza

      La tecnologia, sempre più facile invoglia i genitori a metter loro in mano questi dispositivi.  Non entro nel merito delle cariche elettromagnetiche, non è il mio campo, non sono un dottore. Penso solo a quanto questa facilità, attraverso il tocco, di ottenere qualcosa, poco si sposi con la “fatica” che facevamo un tempo noi bimbi, per giocare. Una fatica sana, una voglia di interagire, di giocare attraverso la costruzione di un passato comune immaginato, l’auto racconto del “Facciamo che io ero una mamma e tu un papà…”

    Teo

    Quella fantasia al galoppo che sviluppava relazioni, linguaggio, capacità d’interazione, di diplomazia.

    I vari giochi di gruppo oggi si fanno ancora?

    Vi lascio su questa riflessione e incoraggiamento: portate i vostri bimbi al parco senza giochi, stimolateli a interagire con gli altri, ricordatevi sempre come eravate voi alla loro età, non abbiate fretta di farli crescere se non attraverso il gioco creativo, usando le mani e non strumenti tecnologici che comunque useranno prima o poi.

    Mettetegli vestiti comodi, che si possano sporcare, ma invitateli anche, una volta a casa alla propria igiene senza fretta,  come fosse la prosecuzione del gioco, con una filastrocca inventata insieme.

    Invece di pensarlo per gli esami, che non finiscono mai, pensiamolo per i giochi, che non finiscano mai!

    WIN_20141129_151822

    Alla prossima

    Gioco, ergo sum Leggi tutto »

    Di chi è figlio il femminicida?

    25900316453_da634592d5_c

    Intanto i dati reali della violenza sulle donne statistica al 2014

    http://www.repubblica.it/cronaca/2015/11/25/news/violenza_sulle_donne_femminicidi_in_italia_e_nel_mondo-128131159/

    se preferite un video eccolo

     

    Si tende ad addossare la colpa del femminicidio agli uomini. Si cerca di farli passare per malati mentali. Forse per una riduzione della pena. Si dice, genericamente:”E’ colpa di questa società malata!”. Chi mi legge e mi conosce lo sa. Detesto il concetto di colpa, preferendo di gran lunga il concetto di responsabilità. Questi uomini che uccidono le donne con giustificazioni più diverse che vanno dal:”Non posso vivere senza di lei – al – o con me o con nessun altro – al – se mi tradisci sei morta! , sono stati allevati da una famiglia. Una famiglia che dovrebbe passare dei valori ma che ha delle carenze di base, di comunicazione, di gestione emotiva, ha forse regole coercitive, sicuramente un’incapacità grave di empatia e di ascolto.

    A livello sociale la cosa più crudele è sentire le donne che parlano di altre donne, dell’uso del sesso per avanzamento di carriera, del vestiario da accompagnatrice sessuale.

    Trovo che ci sia molta confusione tra ciò che siamo, come ci definiamo, come parliamo, come pensiamo. Il sessismo comincia dalla gravidanza:”Cos’è maschietto o femminuccia?” E qualsiasi sia la risposta c’è sempre un commento sessista: ”Femmina? Meglio, ti aiuterà col fratellino, maschietto? Ah un altro uomo in casa! Il terrore per una sessualità incerta come marchio sociale, quindi tutti i rafforzativi del caso, per stare tranquilli. Poi la culla, i colori per evitare la confusione, perché la confusione crea disagio. Poi i giochi da femmina e i giochi da maschio. Ai maschi è permessa e a volte incoraggiata, la violenza fisica, il gioco materiale. Se lo fa una “femmina” si sorride, ma dentro si pensa:”Questa bambina è un maschiaccio!”. Madri che vestono le bimbe come Barbie, le comprano schiere di Barbie, con modelli anoressizzanti. Madri che incitano i figli alla violenza in questa forma:”Se alza le mani, tu dagliene il doppio!”.

    Le madri che lavorano, le madri che devono avere molte responsabilità, le madri che non hanno tempo di crescere i propri figli, li affidano ai nidi, alle baby sitter ai nonni . I padri difficilmente sentono la responsabilità totale della crescita dei figli. Se si lavora entrambi, è la madre che seleziona la baby sitter, che sceglie le scuole, che parla con gli insegnanti, raro il contrario. Insomma, il maggior carico, tranne rare eccezioni, è delle donne che, non possono rifarsi al modello del proprio genitore di un tempo, molto più normativo, modello che non argomenta ma ordina, oggi poco proponibile.

    Quella che non legge libri, che non si mette in discussione, che non cresce nelle responsabilità e nel ruolo e che, soprattutto è spesso sola a gestire i figli?

    Il risultato diciamolo, non è spesso confortante, i modelli di comportamento confusi.  A volte rigidi, sulla stanchezza, a volte troppo permissivi.

    Lancio molte ipotesi, dato che le motivazioni addotte per uccidere una donna sono diverse e non posso imputarle ad una sola motivazione/giustificazione. Intanto questi genitori vivono nel presente? Proiettano ambizioni sul figlio? Che valori gli hanno trasmesso? Gli hanno permesso di piangere? Gli hanno insegnato cos’è la frustrazione di un fallimento , a gestirlo e a superarlo?

    In India un antico uso portava la sposa, spesso molto più giovane, ad essere sepolta con il marito defunto. Nel mondo spose bambine,spose per procura, violentate e poi costrette al matrimonio riparatore. Donne stuprate per essere iniziate alla prostituzione. Donne infibulate, donne/bambine vendute per il turismo sessuale. Aborto selettivo in Cina, le femmine abortite. Potrei continuare. Il femminicidio è la punta dell’iceberg di una impreparazione psico/sociale a ciò che la donna è e anche a ciò che l’uomo dovrebbe essere e non è. Quello che so, nel mio piccolo di consulente familiare, è che ogni famiglia ha una sua responsabilità, quando mette un figlio al mondo e che insegnare al proprio figlio a gestire la frustrazione di un fallimento è la base per una crescita corretta. Ecco la mia ipotesi: Dietro a un femminicida c’è un genitore che non ammette la debolezza in un figlio, che non ammette un suo fallimento, né una sua frustrazione. Un genitore che non ha saputo leggere le fragilità, che ha fatto creare al femminicida una crosta dura su un carattere di melma. Niente di solido a cui appoggiarsi. Poi, finalmente arriva una ragazza, nella vita del femminicida e lui si sente finalmente maschio. Maschio, non uomo. Ma il femminicida confonde ciò che è essere maschio con ciò che è essere uomo, come crede che la società lo voglia, un modello confuso nella sua mente. Così, quando la relazione finisce il suo mondo crolla, fondato sulla relazione con lei, la vittima, che rappresenta , nel suo immaginario, ciò che lui è. Mancando lei, gli manca il terreno sotto i piedi. Non può permetterlo, a qualunque costo, tutto deve tornare come prima. Se questo non avviene allora lei non deve esistere più. Ipotizzo che pensi: ”Se lei non esiste io non ho mai fatto questo errore di credere, questo errore di pensare che lei era tutto. Lei deve sparire, non esistere più. Nessuno potrà compatirmi, guardarmi in quel modo, meno che meno, prendermi in giro.” Nel delirio momentaneo del rimettere le cose a posto, il femminicida compie un atto che era già in nuce, in qualche parte della sua mente dove la donna non è un essere senziente e consapevole, ma una costola dell’uomo. Così, questa costola, essendo parte di sé, si può eliminare senza problemi. E’ una mia ipotesi, ne parleranno in molti in tv, perché l’omicidio fa notizia, saranno tutti esperti. Ma Sara è morta come centinaia di altre donne.

    Il nucleo primario della società è la famiglia, se vogliamo curare la società, cominciamo da qui.

     

    Di chi è figlio il femminicida? Leggi tutto »

    Benito, Adolfo e la cornice d’accordo mancata

    I pessimisti dicono: il mondo va a rotoli.

    Io vorrei rispondergli: il problema sta nelle mancate cornici d’accordo.

    Ora la domanda sorge spontanea: cos’è questa cornice d’accordo?

    Bene la parola accordo non ha bisogno di spiegazioni, la cornice si.

    La cornice, in questo contesto,  è un contenitore. Al suo interno poniamo tutte le cose che noi riteniamo importanti, soprattutto quelle senza le quali, la comunicazione diventa un vago campo di interpretazioni.

    Un esempio a caso: mia madre mi offre il caffè, prima di farmelo mi chiede:”Come lo vuoi, forte?” Io so che mia madre prende il caffè lungo come gli americani, quindi specifico:”Mamma forte si, soprattutto metti poca acqua nella macchinetta e più polvere di caffè!” Così avrò qualcosa che, per me, somiglia ad un caffè.

    Andrea Favaretto, con cui ho fatto pratictioner e master di PNL lo spiega molto bene con un esempio sulla sua professione di formatore.  Racconta così:”Mettiamo che io tengo un corso di Programmazione Neurolinguistica, in questo corso io dico: “Ragazzi, allora io in questo corso non vi prometto 100, perché non so se riesco a darvi 100, dove 100 è un valore per indicare il massimo assoluto. Non vi posso dare 100, non ve lo posso garantire. Però vi garantisco 80, questo lo posso fare. Incontro dopo incontro, vi garantisco 80, ok? Va bene per tutti?” Dopo questa premessa il formatore che ha fatto questa cornice d’accordo al primo incontro da 90. Che tipo di reazione ha il gruppo? Sono molto contenti e anche sorpresi. Aveva promesso 80, ha dato 90. Al secondo incontro da 85, al terzo da 95, al quarto 80, poi 90 e così via. Quello che fa è – superare le aspettative, non delude mai. La percezione quindi è di grande soddisfazione perché, nella cornice d’accordo aveva garantito 80 e nella media ha dato di più.”

    Cominciate ad intuire l’enorme importanza della cornice d’accordo?

    I genitori, ahimè, spesso usano questo tipo di cornice, a proprio sfavore. Mercanteggiano, promettono 100 per poi dare 50. Così il bambino impara a fare altrettanto, perché nell’educazione l’adagio “Guida con l’esempio” è un must.

    Non c’è malizia da parte del genitore, l’amore lo porterebbe a dare la vita per il proprio figlio, figuriamoci fargli promesse fantasmagoriche che sogna di poter mantenere.

    Però questo crea un danno, non se accade una volta, ovvio, ma se accade sistematicamente.

    Avete mai sentito uno dei vostri genitori promettere:”Quest’anno no, ma il prossimo…” e promettere una vacanza, un dono o altro che sistematicamente non arriva?

    La cornice d’accordo presuppone chiarezza di idee  – so cosa voglio darti e cosa voglio che tu ottenga/ faccia in merito a questo  – presuppone consapevolezza di chi siamo e cosa vogliamo. Consapevolezza dei nostri limiti fisici, mentali, economici, superabili si, ma non con la bacchetta magica e non semplicemente perché alla nostra famiglia vogliamo dare di tutto di più. La cornice d’accordo presuppone anche io cosa voglia dal mio interlocutore, tant’è che glielo chiedo chiaramente, nero su bianco.

    Non si ottiene nulla di soddisfacente se non si è chiari nella cornice d’accordo, se non per caso, quindi il risultato non è ripetibile.

    Ma voglio farvi un esempio ancora più potente.

    Se penso alla storia dell’alleanza tra Hitler e Mussolini.  Immagino questo dialogo.

    Hitler:”Allora Ben, io voglio sterminare tutti gli handicappati, i malati mentali, gli zingari, gli omosessuali e gli ebrei,  e tutti quelli che non sono d’accordo con me,che ne pensi?”  Benito:”Ma anche no!”

    Certo, direte voi, Benito  doveva immaginare che Hitler voleva la guerra a tutti i costi, 2629711091_cc0dfc386c_zavrebbe dovuto chiedere maggiori dettagli sul piano tattico e non fare finta di avere delle forze armate preparate, quando il nostro esercito praticamente non c’era.  Mussolini forse non aveva preso sul serio la questione ebrea di Adolf, mentre per Hitler lo sterminio di massa di tutto ciò che non corrispondeva ai suoi standard, più appropriarsi dei beni degli Ebrei, costituiva un must. Quando Benito ha capito che si era infilato in un cosa più grossa di lui, era troppo tardi, con le conseguenze che tutti conosciamo.

    E’ chiaro adesso a cosa serve e cosa si può evitare con una chiara cornice d’accordo?

    Benito, Adolfo e la cornice d’accordo mancata Leggi tutto »

    Hai un problema? Dai fatti prendere in giro!

    Come far veramente arrabbiare nostro figlio che ci parla del suo problema?

    Se avete visto il video, avrete notato che la prima frase che uso come esempio è:”Ma sei proprio un piagnone!” La uso al maschile, ma in realtà avrei dovuto fare un esempio al femminile.

    Faccio una piccola digressione su di me per capire meglio.

    Non so se vi ho raccontato che da piccola avevo un soprannome: Susanna Tonsilla. Tonsilla perchè era facile vedermi le tonsille da quanto piangevo.

    Non è che mi piacesse piangere, ma era molto facile farmi piangere. Dire che fossi insicura è un eufemismo, ero alla continua ricerca di approvazione e i miei “cari” cugini che non nomino per privacy, sapevano veramente alimentare questo fiume di lacrime.

    Ora capirete che più io piangevo, più loro ridevano. Così avevo questo gancio emotivo, questa superstrada neuronale:

    1. sono in difficoltà, piango
    2. mentre io piango, tu ridi
    3. quando mia madre o mia sorella volevano aiutarmi nella empasse, non riuscivano a non ridere, perchè, evidentemente ero veramente molto buffa quando piangevo
    4. quando io piango e tu, per aiutarmi, ridi, io provo molta rabbia e piango anche per rabbia.

    Ed ecco quindi formarsi questa autostrada neuronale per cui tu ridi mentre mi guardi e io piango perchè penso che tu mi stia prendendo in giro. Mi sono spiegata?

    Insomma, vorrei farvi capire che, se quando vostro figlio piccolo piange e voi per consolarlo sorridete e gli dite “Va tutto bene Madama la Marchesa.”, se il bimbo vi sferra un calcio, ha tutta la mia comprensione.

    So che rispetto al mutuo, le bollette, il capo che vi pressa, la stanchezza, la montagna di doveri che avete, il suo pianto sfrenato per un gioco rotto o il biscotto sbriciolato inavvertitamente, può sembrarvi una sciocchezza, da cui il sorriso che sorge spontaneo sulle vostre labbra, ma cambiate ottica. Mettetevi nei suoi panni. Vuole fare una cosa, è frustrato perchè non ci riesce, arrivate voi, freschi freschi e gli mostrate come si fa, lui prova e non riesce, e voi ridete? Ma dico, vi è mai capitato, da adulti di non riuscire a fare qualcosa e l’altro vi fa:”Ma come è possibile che non ci riesci, è facilissimo!” ecco. E  voi che reazione avete?

    Il bambino prova moltissime emozioni e non ha filtri alle sue emozioni, così come le prova, le espone, se prova gioia si sbraccia di gioia, se prova rabbia è veramente furente, questo perchè fino ai 7 anni è in crescita, immagazzina una quantità di dati e apprendimenti come non accadrà più nei restanti anni della sua vita, questa cosa, credetemi, è impegnativa. Inoltre la sua sfera razionale è praticamente inesistente, è istinto puro. Non fa che reagire nella maniera più diretta, agli stimoli che riceve.

    Quindi, riassumendo, se volete aiutare vostro figlio, qualunque età esso abbia, a risolvere il suo problema, mentre è in difficoltà, riderne non è una soluzione, anzi, rischia di ingrandire il problema.

    cose utili da fare:

    1) osserviamo il suo stato, la sua respirazione

    2) entriamo in sintonia col suo respiro, se calmo, modelliamolo, se agitato modelliamolo per poi guidarlo verso una respirazione più lenta e rilassata

    3) ascoltiamo

    4) pratichiamo l’ascolto attivo, neutro

    Da qui ci sono troppe variabili per indicarvele tutte, ma respirare insieme in sintonia e ascoltare, è  sicuramente un approccio migliore di qualsiasi altro.

    Per saperne di più inviatemi una mail per avere una consulenza telefonica gratuita.

    Alla prossima

     

     

     

     

    Hai un problema? Dai fatti prendere in giro! Leggi tutto »

    Elogiare e assecondare, funziona?

    Ecco uno degli errori che io, come genitore, ho fatto con le mie figlie.

    Un errore minore, si penserà, beh a giudicare dai risultati che ottengono le mie figlie nella vita direi di si, però quando noi in un contesto problematico in cui si trova nostro figlio, dimentichiamo la neutralità ed andiamo ad emettere dei giudizi, siano essi positivi o negativi, andiamo comunque ad alterare l’assetto emozionale giusto.

    Mi spiego meglio con un esempio.

    Ariel torna a casa dalle scuole medie e mi dice:”Mamma, la prof di italiano non capisce nulla, vuole che io faccia il compito come dice lei e non c’è verso che mi capisca, è una vecchiaccia stupida!”

    Ora se io per rincuorare Ariel dalla sua frustrazione, sempre per esempio le dico:”Hai ragione, è un’insegnante vecchio stampo, non è in grado di capirti, ci vado a parlare io!” quanti errori ho fatto?

    Almeno due:

    il primo è mettermi tra lei e il problema dicendo:”Ci vado a parlare io!”

    il secondo è emettere un giudizio sull’insegnante e dirle”E’ un’insegnante vecchio stampo, non è in grado di capirti!”

    Se mi frappongo tra il figlio e il problema, il figlio non impara a togliersi da solo le castagne dal fuoco, come si suol dire, non apprende a risolversi i problemi e questa cosa è molto dannosa, per fortuna nel mio caso, il mio intervento sull’insegnante è stato di semplice ascolto dell’insegnante, del suo punto di vista, quindi non ho “risolto il problema di Ariel” ho solo dato all’insegnante quel confronto educativo nel contesto didattico, a volte necessario per ripristinare un equilibrio di potere tra docente e discente.

    Quindi attenzione: l’intenzione e il comportamento che abbiamo come genitori, può dare tanti risultati diversi, a seconda dell’emozionalità che c’è dietro.

    A volte sento assumere da parte dei genitori atteggiamenti molto violenti verso il corpo docente. Se la scuola rappresenta delle forche caudine per nostro figlio, è  bene che questo passaggio se lo gestisca nel modo più adatto alla sua crescita. Ascoltiamolo in modo neutro e facciamo in modo che trovi da se le sue soluzioni.

    Incoraggiarlo ad insultare un adulto che “ostacola il suo modo di essere in classe” nei tempi brevi può sembrare una soluzione. E’ facile attaccare un’istituzione scolastica che oggi si trova ad arrancare rispetto all’andamento della società, ma ci sarà sempre qualche ostacolo da affrontare, nella vita di nostro figlio e elogiarlo perchè attacca la scuola o un insegnante non è una bella mossa per il suo futuro di adulto inserito nel contesto sociale e lavorativo.

    Quindi cosa è meglio fare?

    Ascoltare. Ascoltare sempre.

    A volte sento conversazioni di questo tipo:”Guai a chi ti dice qualcosa figlio mio, deve vedersela con me!!!” oppure:” Se ti attacca reagisci, se ti insulta, insulta anche tu!” Questo non è ascolto, è suggerire un comportamento che, come sappiamo, svuota la mente di nostro figlio dalle soluzioni che si deve allenare a trovare da se.

    Dirgli che è bravo perchè ha insultato, attaccato, denigrato, preso in giro un adulto che cerca di esercitare il potere su di lui/lei non è etico e oltretutto autorizza vostro figlio a fare altrettanto con voi, quando si troverà in disaccordo con una norma che gli darete: orari di ritorno a casa, assetto della stanza ed altro.

    Pensateci bene. L’ascolto attivo è la cosa migliore da fare, sempre.

     

     

    Elogiare e assecondare, funziona? Leggi tutto »

    Consigliare e offrire soluzioni, funziona?

    Ecco un’altro della serie di errori che possiamo fare, sia come genitori sia in qualsiasi relazione a due.

    Il nostro interlocutore ha un problema e non pensiamo di aiutarlo offrendogli i nostri consigli e le nostre soluzioni. Questo comportamento è improduttivo dal punto di vista dei risultati e frustrante per chi si trova nel problema, perchè non si sente nè ascoltato, nè compreso.

    Consigliare e offrire soluzioni, funziona? Leggi tutto »