Il mio peggior cliente

 

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Ogni riferimento a fatti cose e persone conosciute è da ritenersi puramente casuale

Il mio peggior cliente si chiama Fabrizio

Ha un’attività,  che non va, le spese sono più degli incassi e lavora praticamente gratis, anzi, peggio; fa altri lavoretti, collaterali, con cui tiene malamente in piedi la sua attività commerciale.

La sua è una storia antica. Da ragazzo voleva essere artista, ma si è piegato alle cosiddette “leggi di mercato” adattandosi prima a fare l’amministratore e l’operaio, in una società a tre, ma erano gli anni ottanta e apparentemente le cose andavano bene, poi il commerciante.

Ha imparato cose nuove, tecnologiche, necessarie alla sua attività, ma ha sempre fallito.

Ha aperto una serie di negozi, con un convitato di pietra, un tizio che dà la possibilità anche a chi non ha soldi, di aprire un negozio. Questo convitato mangia al tuo desco tutti i giorni. Con questo “simpatico” partner, ha aperto un primo negozio, chiuso in perdita, ma solo per Fabrizio naturalmente e poi un secondo negozio, proprio dall’avviamento. Negozio tirato su amorevolmente e che andò bene fino ad un cambiamento radicale del mercato: l’avvento del digitale. Un negozio che prima incassava 5000 euro  al mese, parliamo del 2006, solo dalle stampe fotografiche, all’improvviso, nel giro di 6 mesi, vede scendere a picco l’incasso che più lo sostiene.

Fabrizio tiene duro, comincia a fare prestiti con le finanziarie, in attesa della svolta del mercato, della ripresa che non ci sarà più. Nel far questo perde tutto, la casa e l’attività e si ritrova con finanziarie che non sa come liquidare. Il convitato di pietra si riprende il negozio, ci mette dentro un commesso, senza dare un solo euro per un’attività che Fabrizio aveva creato con le sue mani. I clienti cercano di lui, ma il commesso ha l’ordine di non dare né contatti, né passargli i lavori.

Senza finire di pagare i debiti, Fabrizio investe ventimila euro in una società che, pare, vada bene, ci lavorano in 4 con uno stipendio netto di 1200 euro. In 4 anni anche questa società si sbriciola, prima restano in 3, poi escono i due soci e ne entra un’altra, senza mettere nessun capitale, mentre la gestione precedente ha lasciato un buco di diverse migliaia di euro 10 forse 20mila, Fabrizio in coaching non me lo ha mai detto, ma non cambia molto il risultato. Mi dice solo che, per diventare amministratore di questa bella e florida, si capisce che lo sto dicendo con ironia, società, si deve accollare il debito.

I  soci precedenti con la quota residua di cui dispongono gli impongono la nuova socia, essa dispone di circa 120 kg di bella presenza, non ha conoscenze di marketing e ha l’ottimismo di Leopardi prima maniera Condividi il Tweet.

Mano a mano che vanno avanti sono costretti, per tenere aperto, a tagliarsi sempre di più lo stipendio, fino ad arrivare  a segnare tutti gli arretrati dovuti, ma senza sapere quando questi arretrati di stipendi non presi, potranno essere presi. A settembre 2015 la mazzata: sfratto esecutivo per mancati pagamenti dell’affitto.

Aiutato dall’instancabile moglie, Fabrizio riesce a trovare un localino molto più piccolo, la “socia” senza stipendio molla. Fabrizio resta solo. 55 ore di lavoro settimanale per non portare a casa niente. Niente.

Fossi in voi chiederei a me, coach:”Ma che coach sei? Ma non lo vedi che si rovina con le sue mani? Quando una cosa non va bisogna mollare bisogna chiudere!”

E avete ragione. Quando ho conosciuto Fabrizio è la prima cosa che gli ho detto. L’attività non va, non sei in un settore di nicchia, non ti diversifichi dal mercato. Poi gli ho dato indicazioni precise per sviluppare il suo pacchetto di clienti, la fidelizzazione, i gadgets, creare mailinglist, tesseramento. Tutta una serie di indicazioni mai seguite, iniziate e non portate avanti. Un cliente così è da mollare assolutamente, cosa che ho fatto da tempo.

Quante persone così conoscete?

E quante persone conoscete che hanno mollato alla prima difficoltà?

Dalla parte di Fabrizio c’è una forte resilienza, un desiderio spasmodico di rivalsa, ma l’incapacità di imparare dall’errore. Vi dico alcuni errori classici madornali, da pivelli:

  1. gestione del tempo, dai primi segni della crisi al prendere la decisione di cambiamento
  2. creare una società a numero pari dove si crea un disequilibrio 2 contro 2
  3. non scegliersi i soci, non conoscere realmente la contabilità di una società in cui si entra
  4. non aver voce in capitolo nell’amministrazione del capitale versato
  5. nessuna formazione del personale addetto al pubblico
  6. cattiva gestione del cliente
  7. inesistente gestione economica

Potrei proseguire, ma basta uno solo di questi errori per far fallire un’azienda.

Ora voi mi direte , ma se fa tutti questi errori, perché si ostina a tenere un negozio aperto?

Beh, io ho una mia teoria piuttosto articolata.

Quando hai fallito più volte, vuoi uscirne fuori con dignità. Vuoi vincere. Che poi non attui nessuna delle strategie, non dico quelle di un esperto di marketing, ma anche quelle più elementari di logica matematica, che apparirebbero evidenti anche alla casalinga di Voghera, è un altro paio di maniche.  Vuoi vincere, ma vuoi farlo a modo tuo, senza ascoltare non solo chi vuole darti una mano, ma neppure quella sana vocina interiore che ti dice:”Molla, lascia andare!”

Mi viene in mente il racconto di Hemingway “Il vecchio e il mare” per quei pochi che non lo conoscessero un breve riassunto. Un vecchio pescatore esce in mare con la sua barca. Riesce a pescare un enorme pesce, ma dato che è solo ( vuole farcela da solo)  non riesce ad issarlo sulla barca e gli squali ( i vari convitati di pietra, i cattivi soci incapaci e i profittatori) spolpano il suo bel pescione, così, il vecchio, tornato a riva dopo la mareggiata, porta a casa solo una lisca spolpata.

Non è che non si possa prosperare, in tempi di crisi, ma bisogna essere preparati, non fare di testa propria. Quando ti attacchi a un pesce ma non sai tirarlo in barca, tanto vale che lo molli Condividi il Tweet, tanto ti porterai a casa solo la lisca della tua attività, il titolo che vuoi darti: commerciante, imprenditore, ma è un nome vuoto come il tuo portafoglio.

Mi dispiace tanto per Fabrizio e per la sua famiglia, che vive a causa sua, il disagio di vederlo uscire la mattina e tornare la sera a mani vuote.

Ma non perdo la speranza per Fabrizio, perché se decide di chiudere il negozio, dato che è un tipo tosto, potrebbe rischiare di veder iniziare una nuova carriera, perché non è mai troppo tardi e, come dice Yogi Berra:””Non è finita finchè non dico che è finita!” Condividi il Tweet

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